Il manuale di Epitteto
(Enchiridion)
Versione
di Giacomo Leopardi
Le cose
sono di due maniere; alcune in potere nostro, altre no. Sono in potere nostro
l' opinione, il movimiento dell'animo, l'appetizione, l'aversione, in breve
tutte quelle cose che sono nostri propri atti. Non sono in poter nostro il
corpo, gli averi, la riputazione, i magistrati, e in breve quelle cose che non
sono nostri atti.
Le cose
poste in nostro potere sono di natura libere, non possono essere impedite nè
attraversate. Quelle altre sono deboli, schiave, sottoposte a ricevere
impedimento, e per ultimo sono cose altrui.
Ricòrdati
adunque che se tu reputerai per libere quelle cose che sono di natura schiave,
e per proprie quelle che sono altrui, t'interverrà di trovare quando un
ostacolo, quando un altro, essere afflitto, turbato, dolerti degli uomini e
degli Dei. Per lo contrario se tu non istimerai proprio tuo se non quello che è
tuo veramente, e se terrai che sia d'altri quello che è veramente d'altri,
nessuno mai ti potrà sforzare, nessuno impedire, tu non ti dorrai di niuno, non
incolperai chicchessia, non avrai nessuno inimico, niuno ti nocerà, essendo che
in effetto tu non riceverai nocumento veruno.
Ora se tu
sei desideroso di pervenire a questo sì felice stato, sappi che a ciò si
richiede sforzo e concitazione d'animo non mediocre, e che di certe delle cose
di fuori tu dèi lasciare il pensiero al tutto, di certe riservarlo per un altro
tempo, e attendere alla cura di te medesimo sopra ogni cosa. Che se tu vorrai
ad un'ora procacciare i predetti beni ed anco dignità e ricchezze, forse che tu
non otterrai né pure queste, per lo studio che tu porrai dietro a quelli, ma di
quelli, senza alcun dubbio tu sarai privo, i quali sono pur così fatti, che
solo per virtù di essi si può goder beatitudine e libertà.
Per tanto,
a ciascuna apparenza che ti occorrerà nella vita, innanzi ad ogni altra cosa
avvézzati a dire: questa è un'apparenza, e non è punto quello che mostra di
essere. Di poi togli ad esaminarla e farne saggio con quegli espedienti che tu
sai, e prima e massimamente con vedere se ella appartiene alle cose che sono in
nostra facoltà o vero a quelle che non sono. Ed appartenendo a quelle che non
sono, abbi apparecchiata in tuo cuore questa sentenza: ciò a me non rileva
nulla.
Sovvengati
che l'intento dell'appetizione si è il conseguire ciò che ella appetisce, e
l'intento dell'aversione il non incorrere in ciò che ella fugge. E colui che
non ottiene quel che appetisce, è senza fortuna; colui che incorre in quel che
egli schiva, ha cattiva fortuna. Ora se l'animo tuo non ischiverà se non
solamente, delle cose che sono in nostro potere, quelle tali che saranno contro
natura, non ti avverrà d'incorrere in cosa alcuna alla quale tu abbi contrarietà.
Ma se egli sarà volto a schivare i morbi, la povertà, la morte, tu avrai
cattiva fortuna.
Astienti
dunque dall'avversione rispetto a qual si sia cosa di quelle che sono in nostro
potere, e in quella vece fa' di usarla rispetto alle cose che, nel numero di
quelle che sono in tua facoltà, si troveranno essere contro natura. Dall'appetizione
tu ti asterrai per ora in tutto. Perciocché se tu appetirai qualcuna di quelle
cose che non dipendono da noi, tu non potrai fare di non essere sfortunato; e
delle cose che sono in potestà dell'uomo, non ti si appartiene per ancora
alcuna di quelle che sarebbono degne da desiderare.
Per tanto
tu non consentirai a te medesimo se non se i primi movimenti e le prime
inclinazioni dell'animo ad appetire o schivare, con questo però che elle sieno
lievi, condizionali e senza veruno impeto.
Abbi cura
di ricordare a te medesimo il vero essere di ciascheduna cosa che ti diletta o
che tu ami o che ti serve ad alcuno uso, incominciando dalle più picciole. Se tu
ami una pentola, di' a te stesso: io amo una pentola; perciocché se ella si
spezzerà, tu non avrai però l'animo alterato. Se tu bacerai per avventura un
tuo figliuolino o la moglie, dirai teco stesso: io bacio un mortale; acciocché
morendoti quella donna o quel fanciullino, tu non abbi perciò a turbarti.
Qualora tu
pigli a far che che sia, rècati a mente la qualità di quella cotale operazione.
Se tu vai, ponghiamo caso, al bagno a lavarti, récati al pensiero le cose che
accaggiono nel bagno: la gente che ti spruzza, che ti sospinge, che ti
rampogna, che ti ruba. E per metterti a quell'atto più sicuramente, tu dirai
fra te stesso: io voglio ora lavarmi, e oltre di ciò mantenere la disposizione
dell'animo mio in istato conforme a natura. E il simile per qualunque faccenda.
Così se per avventura al lavarti ti sarà occorso alcuno impaccio, tu avrai
pronto il modo di consolarti dicendo: io non voleva fare solamente questo, ma
eziandio mantenere la disposizione dell'animo mio in grado conforme a natura.
Ma io non la manterrò in tale stato, se io mi cruccerò di questo che ora
m'interviene.
Gli uomini
sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch' eglino hanno
delle cose. Per modo di
esempio, la
morte non è punto amara; altrimenti ella sarebbe riuscita tale anche a Socrate;
ma la opinione che si ha della morte, quello è l'amaro. Per tanto, quando noi
siamo attraversati o turbati o afflitti, non dobbiamo però accagionare gli
altri, ma sì veramente noi medesimi, cioè le nostre opinioni. Egli è da uomo
non addottrinato nella filosofia l'addossare agli altri la colpa dei travagli
suoi propri, da mezzo addottrinato l'addossarla a se stesso, da addottrinato il
non darla né a se stesso né agli altri.
Guarda di
non insuperbire di alcuna eccellenza o di alcun pregio altrui. Se un cavallo
montando in superbia
dicesse; io
son bello; ciò sarebbe per avventura da comportare. Ma quando tu ti levi in
superbia dicendo: io ho un bel cavallo, avverti che tu insuperbisci di un
pregio che è del cavallo. Sai tu quello che è tuo? l'uso che tu fai delle
apparenze delle cose. Sicché quando nell'usare di queste apparenze tu ti
reggerai conforme a quello che la natura richiede, allora tu piglierai
compiacenza di te medesimo a buona ragione: imperocché quello sarà un pregio
tuo proprio.
Siccome in
una navigazione, poichè il legno ha dato in terra a qualche porto, se tu esci
del legno per fare acqua, tu puoi bene ancora venir cogliendo per via qua una
chiocciolina, là una radicetta, ma egli ti conviene
però aver
sempre il pensiero alla nave, e voltarti spesso, per intendere se il piloto ti
chiama, e chiamandoti, lasciare tutte quelle cose, per non avere a esser
cacciato dentro legato come si fa delle pecore; così nella vita, se in cambio
di radicette o di chioccioline ti si porgerà una donnicciuola o un putto,
niente vieta che tu non lo debba pigliare e godertelo. Ma se il piloto ti
chiama, corri tosto alla nave senza voltarti, lasciata stare ogni cosa. E se tu
sarai vecchio, non ti dilungherai dal legno gran tratto, per non avere a
mancare quando il piloto ti chiami.
Tu non déi
cercare che le cose procedano a modo tuo, ma voler che elle vadano così come
fanno, e bene starà.
La malattia si è un impaccio del corpo, ma non
della disposizione dell'animo, solo che esso non voglia. L'esser
zoppo si è
impaccio della gamba, ma non della disposizione dell'animo. Il simile dirai per
ogni accidente che ti sopravvenga. Imperciocché troverai che esso sarà di
natura da fare impaccio a qualche altra cosa, ma non a te proprio.
A ciascuna
cosa esteriore che ti occorra, rivolgiti sopra te stesso e cerca quale delle
facoltà che tu hai, si possa adoperare verso di quella. Se tu avrai veduto un
bel garzone o una bella donna, troverai che da poter usare verso di queste
cose, tu hai la facoltà della continenza. Se ti occorrerà una fatica da
sostenere, troverai la facoltà della tolleranza. Se una villania, la pazienza.
E così accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle apparenze delle cose.
Non dire
mai di cosa veruna: io l'ho perduta; ma bene: io l'ho restituita. Ti è morto
per avventura un figliuolo? tu l'hai renduto. Morta la tua donna? tu l'hai
renduta. Ti è stato tolto un podere? or non è egli renduto anche questo? Ma
colui che me ne ha spogliato è un ribaldo. Che fa egli a te che quegli che ti
aveva dato il podere te lo abbia richiesto per via di tale o di tale altra
persona? Fino a tanto poi che egli ti lascia tenere o il terreno o che che
altro si sia, pigliane quel pensiero che tu prenderesti di una cosa che fosse
d'altri, come fanno dell'albergo i viandanti.
Se tu vuoi
far progresso nella sapienza, lascia da parte questi cotali discorsi; se io non
avrò cura della mia roba non avrò di che vivere; se io non gastigherò il mio
schiavo, egli sarà pure un furfante. Meglio è morirsi di fame dopo una vita
libera da travagli e timori, che vivere inquieto in grande abbondanza di ogni
cosa. Meglio è che il tuo schiavo sia tristo che non tu infelice.
Tu
incomincerai dunque dalle cose picciole. Ti si versa un poco di olio? ti è
rubato un poco di vino? tu dirai: a tanto si vende la tranquillità dell'animo,
la costanza: niente si può avere a gratis. Quando chiami il tuo fante, pensa
ch'egli può accadere che colui non t'oda, e che ancora udendoti, non faccia
però nulla di quel che tu vuoi.
Ora tu non
voler tanto concedere al tuo fante, che egli abbia in sua mano di poterti turbare la
quiete dell'animo.
Se tu vuoi
fare profitto, comporta pazientemente di esser tenuto pazzo e stolido per
cagione delle cose di fuori.
Anzi se
egli ci avrà di quelli che ti stimino uomo da qualche cosa, diffidati di te
medesimo. Perché tu déi sapere che egli non si può in un medesimo tempo
conservare l'animo tuo disposto e ordinato secondo natura, e provvedere alle
cose esterne; ma colui che ha cura dell'una di queste parti, di necessità dee
trascurare l'altra.
Se tu vuoi
che la moglie, i figliuoli e gli amici tuoi vivano sempre, tu sei pazzo.
Perocchè tu vuoi che dipenda da te quello che non è in tuo potere, e che quello
che è d'altri sia tuo. Parimente se tu vuoi che il tuo servo non commetta
errore, tu sei sciocco. Perché questo è un volere che la malizia non sia
malizia ma qualcos'altro. Ma se tu vuoi non desiderare cosa che poi non ti
venga ottenuta, questo sì che lo puoi. Per tanto indùstriati di ottenere questo
che tu puoi.
Colui che
ha in sua facoltà di dare o tòrre a una persona quel che essa vuole o non
vuole, è padrone di quella cotal persona. Però chiunque ha volontà di essere
libero, faccia di non appetire né fuggire mai cosa alcuna di quelle che sono in
potestà d'altri; o che altrimenti gli bisognerà in ogni modo essere schiavo.
Tieni a
mente che tu ti déi governare in tutta la vita come a un banchetto. Portasi
attorno una vivanda. Ti si ferma ella innanzi? stendi la mano, e pigliane
costumatamente. Passa oltre? non la ritenere. Ancora non viene? non ti scagliar
però in là collo appetito: aspetta che ella venga. Il simile in ciò che appartiene
ai figliuoli, alla moglie, alla roba, alle dignità; e tu sarai degno di sedere
una volta a mensa cogli Dei. Che se tu non toccherai pur quello che ti sarà
posto innanzi, e non ne farai conto; allora tu sarai degno non solo di sedere
cogli Dei a mensa, ma eziandio di regnare con esso loro. Per sì fatta guisa
operando Diogene, Eraclito e gli altri simili, venivano chiamati divini, e tali
erano veramente.
Quando tu
vedi alcuno che pianga o per morte di alcun suo congiunto o per lontananza di
un figliuolo o perdita della roba, guarda che l'apparenza non ti trasporti in
guisa che tu pensi che questo tale, a cagione delle cose estrinseche, patisca
alcun male vero. Ma tu distinguerai teco stesso subitamente e dirai: questi è
tribolato e afflitto, non dall'accaduto, poiché questo medesimo non dà niuna
tribolazione a un altro, ma dal concetto che egli ha dell'accaduto. Ciò non
ostante tu non farai difficoltà di secondare il suo dolore in parole, ed anco,
se occorre, di sospirare insieme seco; ma guarda che tu non sospirassi però di
cuore.
Sovvengati
che tu non sei qui altro che attore di un dramma, il quale sarà o breve o
lungo, secondo la volontà del poeta. E se a costui piace che tu rappresenti la
persona di un mendico, studia di rappresentarla acconciamente. Il simile se ti
è assegnata la persona di un zoppo, di un magistrato, di un uomo comune. Atteso
che a te si aspetta solamente di rappresentare bene quella qual si sia persona
che ti è destinata: lo eleggerla si appartiene a un altro.
Quando un
corvo gracchiando porge cattivo augurio, non ti lasciar muovere da sì fatta
apparenza, ma súbito distingui teco medesimo e dì: questo animale non prenuncia
niuna disavventura a me proprio, ma forse a questo mio corpicino, o forse alla
mia robicciuola, alla riputazioncella, ai figliuoli, alla moglie. Quanto si è a
me, questo, se io voglio, è augurio buono, anzi ottimo. Imperocché io ricaverò utile dal successo, qual
ch'egli sia per essere, solo che io voglia.
Tu puoi essere invitto, e ciò è se tu non ti
metterai a nessun arringo dal quale tu non abbia in tua facoltà di
riuscire colla vittoria.
Guarda che quando tu vedi uomini onorati o
potenti o come che sia riputati e osservati, I'apparenza non ti
faccia
forza in maniera che tu li creda avventurosi e felici. Perciocché se la essenza
del bene sta nelle cose che sono in nostra facoltà, non deono aver luogo né
invidia né gelosia. E tu per la tua parte non vorrai essere né capitano di
esercito, né presidente del consiglio, né console, ma libero: e a questo ci ha
una sola via, che è non curarsi delle cose che non sono in nostro potere.
Ricòrdati
che colui che rampogna o percuote, non offende esso, ma l' opinione che si ha
che questi cotali offendano. Sicché quando tu ti senti montar la collera contro
uno, pensa che la tua propria immaginazione è quella che ti sprona all'ira, e
non altri. Per tanto sforzati d'impedire che l'apparenza non ti trasporti in
sul primo; che se tu otterrai un poco di tempo e d'indugio, più agevolmente ti
verrà fatto di vincerti e di contenerti.
Abbi tutto giorno dinanzi agli occhi la morte,
l'esilio e tutte quelle altre cose che appaiono le più paventevoli e da
fuggire, e la morte massimamente; e mai non ti cadrà nell'animo un pensier
vile, né ti nasceranno desiderii troppo accesi.
Vuoi tu
darti a filosofare? Apparecchiati insino da ora a dovere essere schernito e
deriso da molti; aspèttati che la gente dica: oh, egli ci si è tramutato in
filosofo a un tratto, e: che vogliono dire quelle sopracciglia aggrottate?
Ora tu non
aggrottare le sopracciglia, ma non lasciar però di attenerti a quello che tu
estimi il migliore, perseverando, come a dire, in una ordinanza nella quale tu
sii stato collocato da Dio. E sappi che se tu durerai nel tenor di vita
incominciato, quei medesimi che a principio si avranno preso giuoco di te, in
progresso di tempo cangiati ti ammireranno; laddove se per li motteggi ti
perderai d'animo, tu ne guadagnerai le beffe e le risa doppie.
Se mai per
volere acquistare la buona estimazione di alcuno, ti sarà intervenuto di
versarti, per dire così, fuori di te medesimo, sappi che tu avrai rotto
l'abito, e sarai uscito dei termini del tuo instituto di vita.
Però non
cercare altro mai che di essere filosofo, e sii contento e soddisfatto di
questo in ogni cosa. Che se oltre ad essere, tu volessi eziandio parere, fa'
che tu paia filosofo a te medesimo, e tanto ti basti.
Non istare
a darti pena e sconforto dicendo fra te medesimo: io menerò una vita ignobile;
e: io non sarò nulla.
Perocché se
la ignobilità è un male, non puoi tu patire alcun male per cagione d'altri, più
di quello che incorrere in alcuna vergogna. Ora dimmi, il pervenire a un
ufficio pubblico e l'esser chiamato a un convito, forse che sta in tuo potere?
or come dovrà egli essere ignobile o ignominioso che tu non abbi parte in
questo convito o che non pervenghi a questo ufficio? E come di' che tu non
sarai nulla, quando a te non si conviene essere qualche cosa se non solamente
in quello che è in tua facoltà, dove tu puoi bene essere d'assaissimo? Ma gli
amici non avranno da me aiuto né benefizio alcuno? Di che benefizj e di che
aiuti vuoi tu intendere? Non avranno da te oro e, in quanto a te, non saranno
fatti cittadini romani. Ora chi ti ha detto che queste sono cose di quelle che
dipendono dal nostro arbitrio, e non cose poste in potere altrui? Chi non può
dare a un altro ciò che non ha egli? E tu fa' di acquistare, dirà qualcuno, per
poter dare a noi. Se io posso acquistare, salva in me la verecondia, la fede, e
l'altezza dell'animo, mostratemi come si faccia, e io non mancherò. Ma se voi
volete che io perda i miei propri beni perché voi dobbiate ottener cose che non
sono beni, vedete che poca equità e che indiscrezione è la vostra.
Oltre che,
qual vi eleggereste voi prima, tra danari e un amico fedele e ben costumato?
Che non mi aiutate voi dunque piuttosto a esser tale, in cambio di volere che
io faccia cose per le quali mi convenga perdere queste virtù? Ma la patria non
avrà da me alcun servigio. Ancora, di che servigi vuoi tu intendere? Non avrà
per opera tua né bagni né portici. Oh, che maraviglia? Né anco ha calzari dal
fabbro, né armi dal calzolaio. Egli basta bene che ciascheduno adempia
l'ufficio suo. Dimmi, se tu instituissi e informassi alla tua patria un altro
cittadino modesto e leale, non le faresti tu alcun benefizio? Certo che sì. Or
come le sarai dunque inutile tu medesimo, essendo tale? Ma che luogo terrò io
nella patria? quello che tu potrai, salva la modestia e la fede. Che se per voler
giovare alla patria, tu perderai la fede e il pudore, che profitto le farai tu,
divenuto che sarai sleale e impudente?
Ti è egli
stato anteposto di onore il tale o il tale a un banchetto, o pur nel saluto, o
nell'essere cerco di consiglio? se questi cotali onori sono beni, egli ti debbe
esser caro che colui gli abbia avuti; se mali, non ti deve dispiacere che non
sieno toccati a te. Poi considera che non facendo tu per amore delle cose
esterne quel medesimo che gli altri fanno, tu non puoi nel conseguimento di
quelle andare al paro cogli altri. Come può, per modo d' esempio, colui che non
frequenta le soglie de' grandi, che non gli accompagna, che non gli loda, andar
del pari a coloro che fanno tutte queste cose? Egli sarebbe ingiustizia e
ingordigia che non pagando tu quel prezzo a che si comperano i favori e i
benefizj de' potenti e de' ricchi, tu gli volessi avere gratis. A quanto si vendono
le lattughe oggi? Ponghiamo caso, a un obolo. Ora facciamo che uno spendendo un
obolo abbia tolto delle lattughe, e tu, non ispendendo, non ne abbia tolto: tu
non déi però pensare di aver punto meno che si abbia colui.
Perocché se egli avrà le lattughe, e tu avrai l'obolo che non avrai speso. Il
simile nel caso nostro.
Tu non sei
stato invitato a cena dal tale. Ma né anche hai dato a lui quello a che egli
vende la sua cena. Ora egli la vende a prezzo di lodi, di osservanza, di
ossequi. Paga dunque il prezzo se la mercanzia fa per te. Ma se tu vuoi non pagare
il prezzo e avere la merce, questa si è ingordigia e furfanteria. Forse che in
cambio della cena tu non hai
nulla? Sì
che tu hai ben questo, che tu non hai lodato chi non volevi, che non sei stato
ad aspettarlo in sull'uscio.
L'
intenzione della natura si conosce da quelle cose dove noi non abbiamo interesse.
Se il fante del vicino avrà spezzato un bicchiero o cosa tale, subito ti
correrà in sulla lingua: elle sono cose che accaggiono.
Ora sappi
che chi spezzasse il tuo bicchiere, tu la déi pigliare in quella medesima guisa
che tu piglierai che si spezzi quello del tuo vicino. Così delle cose di
maggior momento. Muore a un altro il figliuolo o la moglie? sono casi umani.
Muore il
figliuolo o la moglie propria? tosto gli oimè, gli ahi ahi. Ma egli si
converrebbe avere a memoria quello che c'interviene quando il medesimo caso ci
è riferito di un altro.
Come non si
mette un bersaglio acciocchè l'uomo non lo colga, così non si genera e non si
ritrova al mondo la natura del male.
Se uno
desse il tuo corpo in potestà di qualunque che gli venisse alle mani, tu te ne
sdegneresti: e dando tu la tua mente in potere di chicchessia, per modo che se
egli ti dirà una mala parola, quella si turbi e confonda, non ti vergogni però
punto?
Innanzi di
metterti a qualsivoglia operazione, divisane teco stesso le antecedenze e le
conseguenze.
Altrimenti tu
intraprenderai con grande animo, non pensando punto alle cose che hanno a
venire, ma in progresso, nascendoti qualche difficoltà e qualche vitupero, tu
ti vergognerai. Desideri tu diventar vincitore olimpico? E io non meno di te,
per Dio; ché ella è una qualità che fa onore. Ma considera prima le antecedenze
e le conseguenze, e poi mettiti all'impresa. Egli ti conviene sottoporti a una
disciplina e osservare una regola; mangiare sforzatamente; astenerti dalle
confetture e cotali piacevolezze; esercitare il corpo per forza a certe ore assegnate,
sì al caldo come al freddo; non usare bevande fresche né vino a tuo piacimento;
in fine darti tutto in mano al maestro, né più né meno come a un medico. Di poi
scendere nell'arringo; a un bisogno guastarti una mano, smuoverti un tallone;
ingoiare di buoni tratti di polvere; a un bisogno anche toccare delle sferzate,
e poi per ultimo esser vinto. Considerato che avrai tutte queste cose, se tu
persevererai nel concetto di prima, datti agli esercizj dei giuochi. Ma se tu
non considererai cosa alcuna innanzi, tu ti aggirerai come i bamboli, che ora
fanno i lottatori, e quando gli atleti, e quando gli schermitori, poi
strombazzano, poi contraffanno le tragedie. Così ancora tu: oggi schermitore,
domani atleta, e quando oratore, poi filosofo, e nulla mai veramente, e con
tutto l'animo, ma in guisa delle scimmie tu contraffai tutto quello che tu
vedi, e muti voglia a ogni tratto. Perocché tu non
imprendi mai cosa alcuna consideratamente, e spiatala prima bene da ogni banda,
ma così a caso e per qualche fantasia leggera. Egli ci ha di quelli che veduto
per avventura un filosofo, o udito dire a questo o a quello; oh, Socrate dice
pur bene, e: chi è che possa favellare come Socrate? si mettono per voler
filosofare ancor essi.
O uomo,
considera prima sottilmente questo fatto del filosofare, di che sorta egli sia,
e quindi fa di conoscere la tua natura, a vedere se tu sei buono da
comportarlo. Vuoi tu pigliare la professione di fare alla lotta o vero ai cinque
giuochi? tu hai da por mente alle tue braccia, alle cosce, ai lombi, perchè una
complessione è acconcia a una cosa e una a un'altra. Pensi tu di potere
filosofando mangiare e bere e fare lo schifo e il dilicato come al presente?
Egli ti
bisogna vegliare, faticare, separarti da' tuoi, essere vilipeso da un
fanticello, in tutto essere inferiore agli altri, negli onori, ne' magistrati,
ne' giudizj, in ogni coserella. Considera bene queste difficoltà e questi
incomodi, e vedi se egli ti pare espediente di sostenerli per avere in compenso
di quelli la libertà, lo stato dell'animo senza perturbazioni, senza passioni;
e non voler fare come i fanciulli, oggi filosofo, poi gabelliere, appresso
oratore, indi procuratore di Cesare. Queste qualità non si accordano insieme.
Egli si vuole essere una persona sola, o valente o da poco; adoperarsi intorno
alla parte principale di noi medesimi, o intorno alle cose di fuori; aver cura
dell'intrinseco o dell'estrinseco; che è quanto dire essere filosofo o pure
uomo comune.
I doveri e
gli officj si misurano generalmente dalle relazioni. Il tale ti è padre?
appartientisi aver cura di lui; cedergli in ogni cosa; se ti rampogna, se ti
batte, portartelo pazientemente. Ma egli è un cattivo padre. Forse che la
natura ti obbliga al padre buono? non già, ma semplicemente al padre. Il
fratello ti fa egli torto? tu non mancare però seco dell'ufficio tuo di
fratello, e non guardare quello che ti faccia egli, ma quello che abbi a far tu
per procedere secondo natura. Perocché già un altro non ti può far nocumento se
tu non vuoi; ben sarai tu offeso se tu stimerai che altri ti offenda. Or dunque
nel predetto modo, se tu ti accostumerai di por mente alle relazioni, troverai
gli officj e i doveri che ti si appartengono rispetto al vicino, al cittadino,
al capitano e a qualsivoglia altro.
La pietà
verso gli Dei consiste massimamente in avere sane e rette opinioni intorno a
quelli; cioè in credere che egli ci ha veramente Iddii, e che questi Iddii
governano ogni cosa bene e con giustizia; e in assegnare a te medesimo questo
ufficio e questa parte, di dovere ubbidire agl'Iddii, e cedere in ogni cosa
agli avvenimenti e acconciarviti di buon grado, come quelli che sono condotti
dal migliore consiglio e dalla migliore volontà del mondo. Imperocché, avendo
queste opinioni, tu non vorrai per cosa alcuna dolerti degli Dei, né imputarli
che non ti abbiano cura. Or tutto questo non può altrimenti essere che se tu ti
distaccherai dalle cose esterne, riponendo il bene e il male in quelle cose
solamente che sono in tua potestà. Imperciocché se tu reputerai pure che alcune
delle cose estrinseche sieno beni o mali, tu non potrai fare, quando tu non
venghi a capo di ottenere quello che avevi desiderato, o che tu incorra in
quello che tu fuggivi, di non querelarti degli autori di questo effetto e di
non pigliarli in odio; essendo che tutti gli animali per natura fuggono e
odiano quelle cose che paiono loro nocive e le cagioni di esse, siccome per lo
contrario le cose riputate utili e le cagioni di quelle seguono e pregiano.
Laonde egli è impossibile che uno il quale si creda ricevere nocumento, ami
quella tal cosa la quale egli si penserà che gli noccia, così come è impossibile
che uno ami il nocumento medesimo. Di qui è che il figliuolo trascorre alle
male parole contro il padre, quando costui non gli fa parte di quelli che la
gente estima essere beni; e Polinice ed Eteocle per questo vennero fra loro in
discordia, perocché essi reputarono essere un bene il principato. Perciò
l'agricoltore, perciò il navigatore e il mercatante bestemmiano gli Dei, e
quelli che hanno perduto i figliuoli e le mogli bestemmiano gli Dei; essendo
che la pietà segue sempre l'utile. Di modo che ciascheduno che procaccia di
desiderare e fuggire solamente quello che è da essere desiderato e fuggito, procaccia
al tempo medesimo di essere pio. Quanto si è alle libazioni, ai sacrificj,
all'offerire delle primizie, queste cose si debbono fare da ciascuno, e ciò
secondo le osservanze della propria terra, con purità e mondizia, e non
trascuratamente né in fretta né con soverchia strettezza né sopra quello che
comportano le facoltà.
Quando tu
andrai per consultare qualche indovino, ricòrdati che tu non sai per verità il
come sia per succedere il fatto, e vai per chiederne all'indovino, ma ben sai
da altro canto la qualità del successo, se tu sei filosofo; perocché se esso è
del numero di quelle cose che non dipendono dal nostro arbitrio, perciò
solamente è manifestó che il medesimo non sarà né bene né male. Fa' dunque,
andando all'indovino, di non recare teco né desiderio né avversione, e non ti
accostare a quello tremando, anzi risoluto che qual sia per essere il successo,
è cosa, verso di te, indifferente e che non ti fa nulla, poiché in tutti i modi
tu avrai facoltà di volgerlo in tuo profitto, e ciò non ti potrà essere vietato
da chicchessia. Però con animo franco e sicuro va', come dire, a consigliarti
cogli Dei: e fatto questo, avuto qualche consiglio, ricòrdati che consigliatori
sono stati i tuoi, e chi sono coloro ai quali tu mancherai di prestare orecchie
se tu ti dipartirai dall'avviso che ti è stato porto. Egli si vuol poi,
conforme ordinava Socrate, cercare il consiglio degl'indovini in quelle
occorrenze nelle quali il bene o male deliberare si riferisce totalmente alla
riuscita, e dove né per ragione né per alcuna arte si hanno espedienti da
conoscere il partito che si debba prendere. Di modo che se egli ti si darà
occasione di doverti porre a qualche pericolo per la patria o per uno amico, tu
non andrai per chiedere all'indovino se tu debba sottentrare a questo pericolo;
perciocché quando pure ti fosse detto dall'indovino i segni delle vittime
essere di mala qualità, manifesto è che per questa cosa ti sarebbe significata
o la morte o il troncamento ovvero lo storpiamento di qualche parte del corpo,
o forse l'esilio; ma ragione ti mostra che ancora con tutto questo egli si
vorrebbe assistere all'amico e mettersi al pericolo per la patria; e per tanto
tu obbedirai ad un maggiore indovino, io voglio dire ad Apollo Pizio, il quale
scacciò dal tempio colui che era mancato di soccorso all'amico in quella che
egli era messo a morte.
Stabilisci
a te stesso, come a dire, un carattere e una figura la quale tu abbi a
mantenere da quindi innanzi sì praticando teco stesso e sì comunicando colle
persone.
Facciasi il
più del tempo, o dicasi quel tanto che la necessità richiede, con brevità. Solo
qualche rara volta, confortandovici il tempo e il luogo, discendasi a favellare
distesamente; ma non di cotali materie trite e ordinarie, non di gladiatori o
di corse di cavalli, non di atleti, non di cibi nè di bevande, né di sì fatti
altri particolari di che si ode a favellar tutto il dì, e sopra ogni cosa, non
di persona alcuna lodando o vituperando o facendo comparazioni.
Fa', se tu
puoi, di raddirizzare e ridurre al cònvenevole i ragionamenti dei compagni. Se
tu ti ritroverai solo tra persone aliene dalla filosofia, tienti senza far
motto. Poche risa, e non grandi, e non di molte materie. Non prendere mai
giuramento, se tu potrai; se no, il più di rado che tu possa.
Schiva di
trovarti a conviti di persone comunali e rimote dalla filosofia; e se ciò per
alcuna occasione talvolta non si potrà schivare, ricòrdiati di stare desto e
attento più del consueto, che tu non trascorressi nei modi e costumi della
comune gente. Imperocché sappi che di necessità, se il compagno sarà lordo, e
che tu gli praticherai dattorno, tu ti lorderai, ponghiamo che ora sii netto.
Le cose
appartenenti al corpo, come dire il mangiare, il bere, il vestito, il tetto, la
servitù, adoprinsi non più oltre che in quanto elle servono al puro uso. Tutto
quello che è ad ostentazione o a delizia, taglisi via.
Innanzi
alle nozze egli si vuole astenersi dai diletti carnali quanto si può, e
usandogli pure alcuna volta, non si discostare in ciò dalle leggi. Ma tu non
vorrai perciò riprendere e noiare con parole coloro che gli sogliono usare, e
non istarai ad ogni poco a mettere in campo che tu non usi di così fatte
voluttà.
Chi ti
riportasse che il tale o il tal altro dicesse male di te, non pigliare a
scusarti e difenderti, ma rispondi che egli si vede bene che questi non ha
contezza degli altri difetti che io ho, perocché, sapendogli, ei non avrebbe tocco
solamente questi.
Ai teatri
non accade usar molto. Ma quando ti sarà data occasione di trovarti in cotali
luoghi, non dimostrare sollecitudine o pensiero di qualsivoglia altro che di te
stesso, cioè non voler che avvenga se non quel medesimo che avverrà, né che
vinca altri che quegli a cui toccherà la vittoria; perocché in tal modo non
t'interverrà che il tuo desiderio abbia impedimento. Dal gridare, dal soverchio
ridere sopra alcuna qual si sia persona o cosa, dal molto dimenarti e
contorcerti, convienti astenere al tutto. E uscito che tu sarai di là, non
andare troppo ragionando cogli altri dell'accaduto, se già non fosse di cose
che potessero conferire a farti migliore. Perocché tu faresti segno che lo
spettacolo ti fosse oltre modo piaciuto.
Non andare
all' udienza di certi dicitori, anzi schiva di trovarviti in ogni modo. Che se
per ventura vi ti troverai, fa' di serbare una contenenza grave e soda, e non
però spiacevole nè superba.
Accadendoti
di dover venire a qualche ragionamento o pratica con chicchessia, e
specialmente con alcuni di quelli che sono reputati soprastare agli altri,
proponti dinanzi agli occhi quello che avrebbe fatto in tale occorrenza o
Socrate o Zenone; e tu non sei per mancare del modo di portarti
convenientemente in ogni caso.
Andando a
trovare alcuno dei potenti, mettiti nell'animo che tu non sei per trovarlo a
casa, ch'egli si sarà serrato dentro, che non ti sarà voluto aprire l'uscio,
che colui non ti darà mente. E se con tutto questo, per non mancar dell'ufficio
tuo, ti conviene andare, pòrtati in pace ogni cosa che t'intervenga, e non dire
mai fra te stesso: egli non portava il pregio; che è un parlare da uomo ordinario
e dato tutto quanto alle cose esterne.
Guarda bene nei cerchj e nelle compagnie, che tu
non istessi a far troppe parole intorno ad azioni fatte o a pericoli
sostenuti da te medesimo. Perciocchè non siccome egli piace a ciascuno di
raccontare i propri pericoli, così riesce dilettevole alle persone l'udire le
avventure di chi favella.
Non istare
anco a studiarti di muovere il riso; perché ciò facendo, si porta pericolo di
trascorrere ai modi e all'usanza dei più; oltre che di leggieri avverrebbe che
i circostanti rimetterebbero più o manco della loro riverenza verso di te.
Egli è
medesimamente pericoloso lo entrare in ragionamenti di cose oscene: e per tanto
ove ciò intervenga, se egli ci avrà luogo, tu sgriderai quel tale che sarà
entrato in così fatta materia; se no, col porti a stare in silenzio e collo
arrossire e fare il viso brusco, tu darai ad intendere che quel cotal favellare
ti spiaccia.
Se tu avrai
concetta la immaginazione di alcuna voluttà, guarda che cotale impressione non
ti trasporti, ma fa, per modo di dire, che la cosa aspetti, e impetra da te
medesimo un poco d'indugio. Poi mettiti davanti agli occhi l'uno e l'altro
tempo; quando tu ti godrai questa voluttà, e quando, goduta che tu l'abbi, tu
te ne pentirai e rampognerai teco medesimo, e a rincontro metti il piacere che
sei per provare se tu te ne sarai astenuto, e le lodi che ne riceverai da te
stesso. E se egli ti parrà tempo opportuno da venire a quel cotale fatto, poni
cura di non lasciarti vincere da quella piacevolezza e da quelle lusinghe e da
quel dolce della cosa, e metti a rincontro quanto ei ti saprà meglio se tu
sarai consapevole a te medesimo di aver vinto tu questa così fatta vittoria.
Quando
farai cosa che tu abbi considerato e giudicato di dover fare, non volerti
nascondere che gli altri non ti veggano a farla, se bene il più delle persone
fossero per interpretare il fatto sinistramente.
Perciocché
o tu fai male, ed egli si vuole anzi fuggire il fatto medesimo; o fai bene, e
che timore hai tu di quelli che ti riprenderanno a torto?
Siccome il dire: o egli è dì o vero è notte,
quanto al senso disgiuntivo, afferma e a gran forza, ma pigliato
congiuntamente,
tutto al contrario; per simile il prendersi la maggior porzione della vivanda,
quanto al proprio corpo, sta bene ed è molto acconcio, ma quanto a quella
comunione che vuolsi osservare nei conviti, sconviene e non è a proposito. Per
tanto quando tu sarai a mangiare con qualche altro, ricordati di non guardare
solo a quella convenienza che avranno le vivande coll' utilità e col piacere
del tuo corpo, ma eziandio a quella che debe osservarsi rispetto al
convitatore.
Se tu
prenderai a fare una persona da più che non comportano le tue forze,
primieramente tu riuscirai con poco onore in questa figura, poi tu avrai
lasciato indietro quella che avresti potuto sostenere compiutamente.
Siccome,
andando per le vie, tu hai l'occhio a non calpestare un chiodo e a non ti
storcere un piede, così abbi cura di non fare pregiudizio alla parte principale
di te medesimo. E se altrettanto osserveremo in ciascuno atto, noi faremo ogni
cosa più sicuramente.
Misura
dello avere si è a ciascheduno il proprio corpo, siccome della scarpa il piede.
Per tanto se tu ti conterrai dentro ai termini di quel che è richiesto alla tua
persona, tu serberai la misura; ma se tu gli passerai, di necessità da
quell'ora innanzi andrai senza fine precipitando come per un dirupato. Non
altrimenti che nella scarpa, se tu passi più avanti di quello che si appartiene
all'uso del piede, la scarpa ti diventa prima dorata, appresso di porpora, poi
ricamata, gioiellata. Perocché di là dalla misura non ci ha limite alcuno.
Le donne
insino dall' età di quattordici anni incominciano a esser chiamate dagli uomini
con titolo di signore.
Sicchè
vedendo che esse niun altro pregio hanno, ma solo sono pregiate rispetto
all'usar cogli uomini carnalmente, dànnosi ad acconciarsi e ornarsi, e a
riporre ogni loro speranza in cotale studio. Per tanto vuolsi por cura di far
ch' elle si avveggano di non essere avute in pregio se non se in quanto si
dimostrino costumate, vereconde e caste.
L'essere
lungamente occupato dintorno ai servigi del corpo, come dire agli esercizj
della persona, al mangiare, al bere, alle necessità naturali, alle carnalità, è
segno di piccola indole. Queste cose si deono fare come per transito, e tutto
lo studio si dee porre intorno alla mente.
Qualora
alcuno o con parole o con fatti ti offende, sovvengati che egli opera ovvero
parla in quel cotal modo, stimando che di così fare ovvero parlare gli
appartenga e stia bene. Ora è di necessità che egli si governi, non conforme a
quello che pare a te, ma secondo che pare a lui. Sicché se a lui pare il falso,
esso si ha il danno e non altri, cioè a dire, il danno è di colui che
s'inganna. Pigliamo una verità di quelle che chiamano connesse: se uno la si
crederà falsa, non la verità, ma questo tale, ingannandosi, porterà il danno.
Per sì fatta guisa discorrendo, tu comporterai mansuetamente colui che ti
oltraggerà; perocché ogni volta tu hai da dire: così gli è paruto che convenisse.
Ogni cosa
ha, per maniera di dire, due manichi: a pigliarla dall'uno, ella si sopporta,
dall'altro no. Se il fratello ti farà ingiuria, non pigliare la cosa per modo
che tu dica: egli mi fa ingiuria, perchè questo è quel manico dal quale de tu
la prendi, ella non si porta; ma pigliala da quest' altra banda, e di': mio
fratello, nutrito e cresciuto meco insieme; e tu la piglierai da quel lato dal
quale ella si può portare.
Queste
cotali argomentazioni non reggono: io sono più ricco di te, dunque io sono da
più di te; io più letterato di te, dunque io sono da più. Queste altre
reggerebbero bene: io sono più ricco di te, dunque la mia roba è da più che la
tua; io più letterato di te, dunque la mia dicitura val più che la tua. Ma tu
non sei né roba né dicitura.
Uno si
laverà in fretta. Non dire: ei si lava male; ma: egli si lava in fretta. Un
altro berrà molto vino. Non dire: egli bee male;
ma sì: egli bee molto vino. Perciocchè come puoi tu sapere se quelli fanno male, innanzi che
tu abbi considerata e stabilita la opinione che tu piglierai? Per tal modo non
t'interverrà di ricevere una impressione, e giudicare secondo un'altra.
Non darti
mai titolo di filosofo, e tra gente comunale non volere, se non fosse alcune
poche volte, entrare in ragionamenti di dottrina speculativa, ma in quella vece
opera secondo cotal dottrina. A cagion di esempio, in un convito non istare a
discorrere come si debba mangiare, ma sì bene mangia come si dee. Né t' esca di
mente che in si fatto modo anche Socrate rimosse da sé ogni ostentazione.
Venivano a lui quando uno e quando un altro, chiedendo ch' ei li dovesse
introdurre ora a questo ora a quel maestro di filosofia, ed esso menavagli dove
volevano. Tanto ben sopportava di essere non curato e lasciato indietro.
Adunque, ponghiamo
eziandio che tra uomini comunali il favellare cadesse per avventura sopra
qualche articolo di materia speculativa, tu ti conterrai per lo più in
silenzio. Perciocchè altrimenti tu correresti gran rischio di gittar fuori
quello che tu non avessi ancor smaltito. E quando alcuno ti dirà che tu non sai
nulla, e tu per udire questo non ti sentirai pungere, allora sappi che tu
cominci a fare frutto. Vedi tu che le pecore non portano al pastore erba per
dare a vedere la quantità ch'elle hanno mangiato, ma smaltita la pastura
dentro, danno di fuori la lana e il latte? e tu similmente non isciorinare in
sugli occhi dei non filosofi le dottrine speculative, ma da quelle ben digerite
dentro, forma estrinsecamente e dimostra a coloro le operazioni.
Quando tu
sarai perfetto quanto all'uso e al reggimento del corpo, non volere però
pavoneggiarti e far mostra di questa cosa; e se tu berrai acqua, tu non dirai
ad ogni occasione: io non beo che acqua. E se alcuna volta ti vorrai
esercitare alla sofferenza per l'amore di te
stesso e non delle cose estrinseche, tu non andrai ad abbracciare le
statue, ma talora che tu arderai della sete,
piglia una boccata d'acqua fresca e sputala, e di ciò non far motto.
Stato e
contrassegno dell'uomo comune si è, né beneficio, né danno aspettarsi mai da se
stesso, ma sì dalle cose di fuori. Stato e contrassegno del filosofo, ogni
qualsivoglia utilità o nocumento sperare o temere da se medesimo.
Segni che
uno fa pro nella filosofia sono non parlare male di alcuno; non lodare
chicchessia; di niuno lamentarsi; niuno incolpare; non favellare cosa alcuna di
sé come di persona di qualche peso o che s'intenda di che che sia; provando
impedimento o disturbo in qualche sua intenzione, imputare la colpa a se
stesso; lodato, ridere interiormente del lodare; biasimato, non si difendere;
andare attorno a guisa che fanno i convalescenti, guardando di non muovere
qualche parte racconcia di fresco, prima ch'ella sia bene assodata; aver posto
giù ogni appetito; ridotta l'avversione a quel tanto che nelle cose che
dipendono dal nostro arbitrio è contrario a natura; non dare luogo a prime
inclinazioni e primi moti dell'animo se non riposati e placidi; se sarà tenuto
sciocco o ignorante, non se ne curare; in breve, stare all'erta con se medesimo
non altrimenti che con uno inimico o uno insidiatore.
Quando
alcuno si vanterà o si terrà d'assai per sapere intendere o poter dichiarare i
libri di Crisippo, di' teco stesso: se Crisippo non avesse scritto oscuro,
costui non avrebbe di che gloriarsi. Ma che è poi veramente quel che io
desidero? intender la natura e seguirla. Cerco dunque chi sia quello che me la
interpreti. E sentendo essere Crisippo, vo a lui. Ma non intendo il suo
scrivere. Cerco dunque uno che me lo esponga. E fin qui non ci ha materia veruna
di gloriarsi. Trovato lo spositore di Crisippo, resta ch' io metta in pratica
gli ammaestramenti ch'io ricevo. E in ciò solo consiste quel che fa onore. Ma
se io invaghirò della facoltà medesima della interpretazione, che altro mi
verrà fatto se non che io diverrò un grammatico anzi che un filosofo? salvo che
invece di Omero chioserò Crisippo. Piuttosto dunque, se uno mi dirà: leggimi
Crisippo: egli mi conviene arrossire, quando io non possa mostrare i fatti
concordi e somiglievoli alle parole.
Ciascun proponimento
che tu farai vuolsi osservare e mantenere come fosse una legge e un punto di
religione.
Che che poi
si dica di te il mondo, non vi por mente, poichè questa parte non è in tuo
potere. In che tempo dunque ti riserbi tu ad aspirare ai maggiori beni
dell'uomo, e ad osservare in che che sia la regola che distingue le cose nostre
e le esterne? Tu hai pur avuti i documenti che erano da meditare e quasi da
conversar con essi; tu gli hai meditati e usato con esso loro: che maestro
aspetti tu anco, sotto la cui disciplina tu intenda di voler dare effetto alla
riforma di te stesso? Tu non sei più mica un fanciullo, ma uomo fatto. Se tu ti
starai così neghittoso e a bada senza pensare, accumulando ogni giorno indugi
con indugi, moltiplicando in propositi, destinando ora un termine e fra poco un
altro, in capo al quale incominciare ad attendere a te medesimo; tu non te ne
avvedrai che senza aver fatto un progresso al mondo, sarai pur vissuto e morto
uomo del volgo. Incomincia adunque insino da ora a studiare di vivere da uomo
perfetto e che cresce in virtù; e tutto quello che ti parrà essere il migliore,
siati in luogo di legge inviolabile. E come prima ti si farà incontro alcuna
cosa dura e spiacevole o pur dilettosa e dolce, alcuna che porti seco la
estimazione o la lode o vero il dispregio o il biasimo delle genti, fa' ragione
ch'egli sarà venuto il tempo dell' arringo, essere l'ora della solennità
olimpica, e non ci aver luogo indugio; e che secondo che tu sarai per durare
ovvero per cedere in una battaglia, tu perderai ovvero conserverai l'
avanzamento tuo nel bene. Socrate in così fatta guisa diventò perfetto, a
niente altro avendo riguardo in ciascheduna cosa che gl'incontrava, se non
solamente alla ragione. Che se bene tu non sei per ancora un Socrate, tu déi
però vivere come uno il quale desideri di esser tale.
Il primo e
più necessario luogo nella filosofia si è quello delle proposizioni morali
pratiche, come sarebbe, per modo di esempio, questa: che egli non si dee
mentire. Il secondo è quello delle dimostrazioni; come, per esempio, provare
con argomenti che non si dee mentire. Il terzo serve a confermazione e
distinzione delle stesse cose, e vi si tratta, ponghiamo, donde è che questa
tale è dimostrazione, e che cosa è dimostrazione, che cosa sono conseguenza e
repugnanza, verità e falsità. Di modo che il terzo luogo è necessario a
rispetto del secondo, il secondo a rispetto del primo; ma il più necessario di
tutti, e dove si dee restare, si è il primo. Ora noi facciamo al contrario; che
noi soprastiamo nel terzo luogo, e in quello poniamo tutto lo studio e la
industria; e del primo non abbiamo un pensiero al mondo. Sicché avviene che
egli si ménte ogni dì, ma il come provare che egli non si dee mentire, questo
si ha in su le dita.
Abbiansi ad
ogni occasione apparecchiate queste parole: menami, o Giove, e con Giove tu o
Destino, in quella qual si sia parte a che mi avete destinato; e io vi seguirò
di buon cuore. Che se io non volessi, io mi renderei un tristo e un da poco, e
niente meno a ogni modo vi seguirei.
Ancora:
chiunque sa bene accomodarsi alla necessità, tiene appresso noi grado di
saggio, ed esso ha il conoscimento delle cose divine.
Ancora in
terzo luogo: o Critone, se così piace agli Dei, così sia. Anito e Melito mi
possono bene uccidere, ma non già offendere.
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